San Pietro e Paolo e la consegna della Chinea

Cerimonia della chinea

La ricorrenza di San Pietro e Paolo, per i romani, era un’altra opportunità per fare baldoria.
Per l’occasione si usava incendiare una girandola a Castel Sant’Angelo, mentre la basilica di San Pietro diventava teatro di un’illuminazione veramente spettacolare con migliaia di fiaccole e lanternini che venivano accesi in contemporanea, come per “miracolo” da squadre di “sanpietrini” acrobaticamente calati attraverso un sistema di corde. L’ultima “portentosa fiaba”, come definì Goethe quest’illuminazione, risale alla prima metà del ventesimo secolo: l’elettricità ha poi reso il tutto più semplice, ma certo meno suggestivo.
Il 29 giugno (data in cui venivano riscossi i tributi dovuti alla camera apostolica) si celebrava anche la festa della Chiesa ovvero la consegna, da parte dell’ambasciatore straordinario del re delle due Sicilie – il connestabile, membro della famiglia Colonna- di un cavallo bianco sontuosamente bardato, la chinea, appunto il tributo al Papa in quanto detentore dei diritti feudali sul regno di Napoli. Si trattava di una coppa d’argento contenente settemila scudi d’oro.
Il corteo di patrizi ambasciatori e prelati partiva da palazzo Colonna in piazza Santi Apostoli per arrivare a San Pietro dove la chinea, opportunamente ammaestrata, si inginocchiava davanti al pontefice. Il 1624 fu un anno sfortunato per la festa. Il povero animale, presentato il 28 giugno, morì il giorno seguente, forse avvelenato, mentre durante la girandola prese fuoco un albero colpito da un razzo partito da una macchina pirotecnica che generava fuochi d’artificio.
Risale alla fine del settecento la consuetudine di allestire, il 28 e 29 giugno, due sontuose macchine in piazza Santi Apostoli ( più raramente in piazza Farnese).
Nella Roma del Settecento venivano allestite spettacolari costruzioni effimere in legno e tela dipinta (che talvolta superavano i trenta metri d’altezza, ma potevano arrivare anche a quaranta), allestite in piazze, chiese o palazzi nobiliari, per accompagnare numerose festività oppure eventi politici o privati. Frutto di un notevole lavoro che coinvolgeva i principali artisti dell’epoca. Rappresentavano scene mitologiche, simbolicamente allegorie, oppure avvenimenti religiosi, politici e di cronaca,come i matrimoni fra le differenti casate.
Notevole il dispendio economico: il popolo si trovava spettatore di uno spreco, tipico di una società in cui all’ostentazione del lusso da parte di una minoranza corrispondeva l’estrema miseria dei più. Non tutte le parti delle macchine venivano distrutte nell’incendio e l’intelaiatura e alcuni oggetti decorativi, potevano essere riutilizzati più volte. Il montaggio della struttura e il successivo assemblaggio delle parti ornamentali venivano tenute nascoste fino al giorno della cerimonia. Questi sontuosi apparati erano formati da trompe l’oeil , enormi dipinti su tela sorretti da maestose impalcature, stucchi e statue, “lavorati tutti di carta pesta, come fossero di vero marmo” e poi dipinti. Il popolo gradiva molto i giochi d’acqua, ma anche e soprattutto quelli con il vino, che sgorgava in abbondanza dalle fontane durante le feste offerte da nobili e stranieri..
La parte napoletana non accettava di buon grado la cerimonia, simbolo della soggezione all’autorità del pontefice. Iniziarono così ad esplodere, per questioni banali, magari di precedenza, ripetuti contrasti, espressione di un malcontento consolidatosi nel tempo. Nel 1788 la cavalcata fu definitivamente abolita, e la consegna della Chinea venne presentata come semplice atto di devozione, che escludeva ogni sottomissione. Pio VI rifiutò di accettare il “dono” e denunciò quello che riteneva un sopruso. Si scatenarono tumulti popolari in piazza Farnese, residenza del ministro di Napoli, e una vera e propria caccia ai napoletani, presi a sassate in strada. Probabilmente si trattava più di un risentimento provocato dalla fine della festa. Da allora la cerimonia non fu ripristinata, anche se il contributo continuò ad essere inviato. Il Papa insoddisfatto della soluzione, dal 1788 al 1855 ogni anno espresse la sua ira nel corso di una singolare cerimonia durante la quale scomunicava e poi riammetteva nella Chiesa il re di Napoli e il suo connestabile. In molti erano convinti di sentir tremare, in quelle occasioni, il Palazzo Colonna. La questione fu definitivamente chiusa solo nel 1855 quando il re di Napoli offrì a Pio IX ben diecimila scudi d’oro per la costruzione della Colonna dell’Immacolata in piazza di Spagna.

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